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Arya

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"Il postino di Neruda"

Il postino di Neruda - Antonio Skármeta, Andrea Donati

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Ho voluto leggere questo libro perché io adoro le poesie di Neruda... in realtà non me ne intendo molto di questo genere, ma lui è sicuramente il mio poeta preferito.

Inoltre, negli anni "Il postino di Neruda" è stato un titolo che mi è sempre sfilato sotto il naso, per un motivo o per l'altro.... qualche giorno fa, mentre mettevo a posto i libri in biblioteca, ecco che me lo ritrovo fra le mani e mi sono decisa a leggerlo.
Ci sono cose positive e cose negative da dire...

E' sicuramente un romanzo poetico, scritto con uno stile molto particolare, che all'inizio può anche risultare faticoso per il lettore. Ma Skármeta ha talento e, non appena ci si abitua alla sua scrittura, ci si fa trasportare dalle parole, che davvero talvolta ricordano le poesie di Neruda.

Ciononostante il linguaggio usato dall'autore non è semplicissimo, quindi é consigliabile non lasciarsi sfuggire nemmeno un passaggio o si rischia di "perdere dei pezzi per strada".

Questo romanzo, secondo me, può essere apprezzato soprattutto dagli amanti della poesia, i quali sicuramente ameranno le descrizioni della terra cilena che si perdono in una danza di parole.
Mi sono fatta intenerire dall'autentica ammirazione che Mario prova per Neruda, una devozione che all'inizio lo spinge a scocciare il poeta, ormai intorpidito dagli anni, con domande, curiosità e richieste. Ma Neruda a poco a poco inizia a nutrire simpatia e affetto per quel giovane postino strampalato e sognatore.
Skármeta ci descrive due personaggi uno l'opposto dell'altro: da una parte abbiamo Pablo Neruda, Premio Nobel per la letteratura nel 1971, poeta, politico e diplomatico, ad un passo dalla presidenza del Cile; dall'altra parte c'è Mario, sempliciotto e squattrinato ma estremamente leale.
L'autore lascia passare un messaggio molto bello: due persone tanto diverse possono creare un legame fortissimo, tanto solido da durare negli anni.
Il poeta sarà sempre presente nei momenti più importanti della vita dell'amico e Mario sosterrà ogni passo di Neruda, catturando per lui in un registratore i rumori della sua bella terra, assistendolo anche nel momento della dipartita.
Ho trovato simpatiche le schermaglie di parole tra Neruda, pur sempre un gran signore, e la vedova Gonzàlez, suocera di Mario, pungente e impicciona ma sostanzialmente una brava donna.

Pur apprezzando tutto ciò, questo romanzo non ha saputo conquistarmi veramente.

Alcune situazioni potevano essere più approfondite, mentre per altre le parole si sprecano... in più di un'occasione mi sono sentita disorientata durante la lettura.

Nutrivo buone aspettative per la figura di Neruda, speravo davvero di affezionarmi a lui come sono affezionata alle sue poesie, invece l'ho trovato poco marcato. Il vate (come lo chiama Skármeta) si sarebbe meritato certamente qualcosa in più.

Sostanzialmente non so dire fino in fondo se questo libro mi sia piaciuto oppure no, devo ancora capirlo.
"Il postino di Neruda" resta comunque una  bella storia d'autentica amicizia, in cui l'autore mescola storia e poesia... in ogni caso sono contenta di averlo letto e di certo non posso sconsigliarlo!

"La Discesa dei Luminosi"

La discesa dei luminosi - Ilenia Provenzi, Francesca Silvia Loiacono

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Siamo nel 2012, sulla Terra incombe la profezia Maya che annuncia la fine di un'era.
Ma il destino degli uomini viene controllato da questi esseri praticamente perfetti dotati di poteri eccezionali, i Luminosi, appartenenti ad un altro mondo: la terra di Aurora.
Jude e Danielle però non sono due Luminosi come tutti gli altri, perché per metà sono umani e si ritroveranno inevitabilmente a dover fare i conti con le loro debolezze umane.
I due perseguono lo stesso obbiettivo: rintracciare il codice Villanon in cui è celato l'arcano della salvezza della Terra. 
Una continua competizione tra fratelli che coinvolgerà altri personaggi, tra cui Viola, giovane studentessa di archeologia che forse riuscirà a scalfire la corazza di Jude, il quale alla fine sarà portato a fare una scelta determinante.

Questo romanzo è come un mosaico sapientemente congegnato. Capitolo dopo capitolo tutti i tasselli vengono posizionati esattamente nel posto giusto, ma questo purtroppo rende meno spontanea la narrazione. Ci sono troppe fatali coincidenze che forzano l'intreccio, facendolo risultare eccessivamente architettato. 

Nonostante ciò, è una storia che ha stuzzicato la mia curiosità fino all'ultima pagina, grazie ad elementi innovativi che ho molto apprezzato, come: l'archeologia, qualche piccolo accenno allo sciamanesimo, la civiltà Maya con i sui misteri e le sue leggende.

Sono sicuramente tutte qualità nuove rispetto agli altri romanzi urban fantasy divulgati negli ultimi tempi.

"La Discesa dei Luminosi" è come un puzzle che ricorda le avventure del brillante professore Indiana Jones, personaggio cinematografico ideato da George Lucas...

Ahimè i personaggi di questo romanzo non sono altrettanto convincenti. Proprio come l'intreccio, anche loro sembrano troppo costruiti.

Il finale è totalmente aperto, fa presagire un seguito della storia che secondo me potrebbe avere del potenziale, se la narrazione guadagnasse un po' di naturalezza e i personaggi un po' più di anima.

Romanzo consigliato a chi preferisce una lettura poco impegnativa ma gradevole.

"Seta"

Seta - Alessandro Baricco

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Quando penso a come descrivere i libri di Baricco mi vengono in mente le piume bianche, leggere e impalpabili, il rumore struggente del mare, un volo d’uccello nel cielo blu, la morbidezza e il calore del velluto, una lacrima solitaria che scivola sulla guancia, la freschezza e l’odore della pioggia.

Penso al cristallo e alla neve che si scioglie appena si posa sul palmo della mano, il suono di un campanellino nel vento, poche note di un pianoforte che riecheggiano in una stanza, una lettera stropicciata, il profumo di una rosa, un foulard di seta trasportato via dalla brezza della sera….un sorriso malinconico.

Chi ha letto le storie di Baricco mi può capire… perché non si possono raccontare, bisogna viverle dentro, bisogna farle proprie… sono storie che ti accarezzano. Sono impalpabili come l’aria e sottili come un filo d’erba, ma ti pizzicano l’anima.

Come potrei descrivere “Seta”? Vediamo…

"Seta" racconta la storia di tre tipi d’amore.

Hélène, che per Hervé è voglia di casa, è il suo attimo di serenità, è la voce più bella del mondo, di tanto in tanto è anche malinconia.

Poi c’è lei, all’altro capo del mondo, dopo il mare e dopo le montagne: “I suoi occhi non avevano un taglio orientale, e il suo volto era il volto di una ragazzina”. Hervé non conosce nulla di lei, non sa il suo nome, non ha mai sentito nemmeno il suono della sua voce… ma questa donna gli ha rubato l’anima. Lei è indefinita, è inconsistente, è delicata… lei è seta.
All’altro capo del mondo Hervé pensa a lei… e lei pensa a lui, silenziosamente.

Hervé la desidera, vuole fare l’amore con quella seta inafferrabile, vuole morire e rinascere dentro a quegli occhi. Vuole piangere di disperazione per lei. Hervé vuole quell’amore che non potrà mai avere.

Invece a Lavilledieu c’è Hélène, che aspetta Hervé, sempre innamorata, sempre e solo sua.

L’amore di Hélène è quello che ti annienta, che ti rende invisibile pur di stargli accanto… Hélène è disposta a diventare qualcun’altra pur di amarlo, pur di regalargli un istante di felicità e di speranza. Quello di Hélène è un amore che sopporta tutto il peso del mondo.

 

“Seta” è una storia che è entrata nella mia vita in punta di piedi.

Baricco è e rimane, per me, un abile ammaliatore che ci regala immagini, ci regala frammenti di vite, ci regala sensazioni… è un tessitore di anime.

Impossibile non emozionarsi…

"Lo specchio delle fate"

Lo specchio delle fate  - Jenna Black

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Tutti noi siamo abituati a pensare ad Avalon come all’isola leggendaria legata al mito di Re Artù. La varia letteratura fantastica si è da sempre sbizzarrita nel narrare di questa isola... basti pensare al “Ciclo di Avalon”, scritto da Marion Zimmer Bradley.

Adesso è giunto il turno di Jenna Black, che spoglia Avalon della sua veste di nebbia e leggenda, per proiettarla nel mondo reale e attuale.

Ne “Lo specchio delle fate”, infatti, Avalon è una città dove esseri fatati e umani convivono quasi pacificamente… l’unico luogo dove la magia incontra la tecnologia del mondo moderno. In questa Avalon ci sono perfino delle grandi catene multinazionali, come Starbucks!

Si può quindi considerare una città moderna a tutti gli effetti e, anche se questo le fa perdere un po’ di quell’aura incantata tipica della leggenda, l’ho trovato abbastanza originale!

Dana, la protagonista, mi è piaciuta, è convincente. E' una ragazza di sedici anni con annessi e connessi, con le sue fragilità e insicurezze, ma è anche caparbia e coraggiosa... maturata troppo in fretta a causa dell'alcolismo della madre. E' un po' troppo incline a prendersi una cotta al primo sguardo languido, ma anche questo fa parte della sua giovane età.

Sono curiosa di veder maturare Dana nei prossimi libri (dato che questo è il primo capitolo di una trilogia) e di scoprire quanto possano essere potenti i suoi poteri.

In questo primo romanzo lei è ancora un tenero bruco chiuso nel suo bozzolo, ma una forza magica potentissima si agita dentro di lei, qualcosa di cui non è ancora consapevole.

Come in ogni romanzo di genere Young Adults, anche qui c'è l'implicazione amorosa da parte della protagonista, però per fortuna non è il punto focale della storia.

Il padre di Dana mi ha incuriosita particolarmente: un uomo molto sicuro di sé, decisamente presuntuoso, ma con la figlia è totalmente disponibile, le vuole bene e il suo scopo è quello ti proteggerla, almeno apparentemente. Sembra sincero e onesto nei suoi confronti, ma fino a che punto? E' un personaggio ambiguo e sicuramente anche lui ha uno scopo da raggiungere, come tutti gli altri personaggi.

Il libro è scritto con mano sicura, ma con quello spirito fresco e molto spontaneo tipico degli anni dell’adolescenza; questo l'ho trovato appropriato dato che la storia è narrata in prima persona da Dana.
Il ritmo è incalzante...un romanzo che si legge molto velocemente, proprio perché la scrittura è sciolta e la storia appassionante.

Quando alla fine ho chiuso il libro avrei voluto avere già il secondo a portata di mano, per scoprire come continua la storia! Anche perché il finale non è aperto...è apertissimo, spalancato!

Sono pienamente d'accordo con coloro che hanno notato che non mancano i soliti cliché, tipici di questo genere di libri: la ragazzina con un problema esistenziale alle spalle, il ragazzo "bello e dannato" (anzi, qui ce ne sono due), i dissidi con i genitori, un misterioso destino che la ragazza dovrà affrontare.

E' anche vero però che è un libro facente parte del genere Young Adults, e per questa ragione gli ingredienti base ci sono tutti... un po’ come in un thriller ci aspettiamo di trovare la vittima, l'investigatore e il killer.

"Lo specchio delle fate" non si distingue per originalità, però l'ho trovato avvincente. Un libro adatto da intervallare a letture più impegnative.
Consigliato? Ma si dai! Soprattutto ad un pubblico giovane.

"Enelsin Artigton e la Petra Regia"

Enelsin Artigton E La Petra Regia - Annarita Pizzo

Purtroppo devo ammettere che questo libro non mi è piacendo molto.
Fin dalle prime pagine il confronto con la saga di Harry Potter per me è stato inevitabile. Ho letto i romanzi scritti dalla Rowling e ho avuto l'impressione che in Enelsin Artigton e la Petra Regia l'autrice abbia emulato stile e contenuti di questo grande fenomeno letterario.
Ma la mia critica non va tanto alla forma, che è fresca, carina e divertente, quanto al contenuto vero e proprio: ho trovato troppi punti in comune con la storia di Harry Potter e questo mi ha tolto un po’ la soddisfazione di gustarmi il romanzo (i fan del maghetto più famoso del mondo mi capiranno!).
Le analogie vanno dalle più marginali a quelle sostanziali: quadri mutaforma, civette e gufi addetti alla posta, stazioni magiche, piante che chiacchierano, tutta una serie di arnesi e suppellettili incantati che equipaggiano questo mondo stregato abitato dai maghi e un'Accademia delle Scienze Magiche. Tra le altre cose, la storia di svolge nei pressi di Londra, proprio come per Harry Potter.
C'è anche un mago spietato dalle fattezze quasi irriconoscibili, Perfidus, un concentrato di morte e male assoluto, un corpo ormai deformato dalla magia malvagia. Un essere immondo temuto da tutti i maghi, che ha un disperato bisogno della Petra Regia per poter sopravvivere, dato che il Male lo sta consumando.
Mi è subito parso naturale il confronto tra la Petra Regia, cristallo fonte della magia, e la Pietra Filosofale potteriana, come anche l'eccessiva somiglianza tra Perfidus e Voldemort.
Continuando con la lettura scopriamo anche l'esistenza di Salumè, una salamandra magica dagli occhi malevoli, il malvagio famiglio di Perfidus... ruolo molto vicino a quello di Nagini, il serpente da compagnia di Lord Voldemort.
Al centro di tutto vi è la lotta fra la magia buona e la magia cattiva, una lotta per il potere che costerà molte vite: infatti i seguaci di Perfidus reclutano tutti i maghi che si fanno corrompere dal potere del Male, mentre coloro che non si piegano a questa forza oscura vengono torturati e uccisi.
Il destino del mondo della magia è tutto nella mani di un Prescelto, Adrian, che secondo un'antica profezia lui solo potrà evitare che il mondo venga stravolto dalla magia cattiva.
Se ad un certo punto fosse spuntato fuori un ragazzino con tunica nera, occhialetti tondi e una civetta sulla spalla... non mi sarei affatto stupita!
Credo che si riveli un'arma a doppio taglio accostare così tanto un romanzo ad un mostro sacro della letteratura dedicata al wizarding world
Non credo che l'autrice abbia scritto in mala fede, perché si avverte la passione e l'impegno con cui ha condito le pagine diEnelsin Artigton e la Petra Regia... ma forse si è fatta trasportare un po' troppo dall'entusiasmo per il mondo della magia di Harry Potter.

"Mr. Zuppa Campbell il pettirosso e la bambina"

Mr. Zuppa Campbell il pettirosso e la bambina - Fannie Flagg, Olivia Crosio
Vi è mai capitato di leggere un libro che vi è talmente piaciuto, che vi è entrato tanto nel cuore, da volere che nessun altro lo legga? Così che nella vostra mente possiate illudervi che quella storia è solo vostra?
Con “Mr. Zuppa Campbell il pettirosso e la bambina” a me è successo per la prima volta e mi ha spiazzata!
Leggere questo piccolo romanzo di 211 pagine mi ha fatto sentire a casa... già mi mancano tutti loro, gli abitanti di Lost River che, come hanno accolto a braccia aperte Oswald, hanno accolto anche me.
Ma lasciate che vi racconti com’è cominciata…
Oswald P. Campblell, 52 anni, occhi azzurri e pochi capelli rossi, divorziato. Il medico è stato chiaro con lui: un altro inverno passato a Chicago ed i suoi giorni saranno contati, i suoi polmoni non lo sopporterebbero.
Il povero Oswald, orfano dalla nascita, senza un vero lavoro e senza amore, in realtà non ha molto per cui vivere, ma è ancora un po’ affezionato alla sua vita, quindi si fa convincere dal medico a passare l’inverno nel sud dell’Alabama.
Oswald giunge così a Lost River, un piccolo e pacifico paese sulla riva del fiume, aspettandosi di spirare da lì a pochi giorni… non si sarebbe mai immaginato invece che avrebbe iniziato a vivere!
Questo grazie alla comunità che lo ospita con le migliori premure e attenzioni: a poco a poco Oswald non solo capisce che la sua salute sta notevolmente migliorando, ma scopre anche di aver trovato una vera famiglia.
Inoltre, mai avrebbe immaginato di vedere con i propri occhi un uccellino cardinale che vive nel negozio di alimentari, in grado di tenere allegra l’intera cittadina: Jack, la mascotte di Lost River, un concentrato di simpatia e tenerezza!
A completare il quadretto arriva Patsy, una bimba dolcissima, abbandonata a se stessa e con delle gravi malformazioni alle ossa che mettono a rischio la sua salute.
Tutta Lost River si innamora di questa piccolina ed è magnifico il modo in cui la bontà e la solidarietà di tante persone faranno sì che a Patsy venga data una possibilità.
Tra Oswald, Jack e Patsy nasce un rapporto davvero speciale.
È incredibile quanto sentimento c’è in questa storia… amore, amicizia, speranza, simpatia… tutto dipinto sull’incantevole sfondo di un paese germogliato su un fiume dell’Alabama, di cui l’autrice ci fa apprezzare ogni dettaglio: dalla cucina tipica ad una natura vibrante di colore!
Mi mancano i tramonti sul fiume e mi mancano tutti gli abitanti di Lost River, alquanto pittoreschi e originali… alcuni anche un po’ svitati!
Arrivata quasi alle ultime pagine ho cercato in tutti i modi di protrarre il più possibile la lettura, per non dovermi separare da questa storia prima del dovuto. Posso dire a gran voce che questo romanzo è un piccolo gioiello ed è diventato uno dei miei libri preferiti in assoluto. Per lui ho subito provato qualcosa di speciale e devo dire che il mio “sesto senso librario” non mi ha tradita!
Unico peccatuccio che ho trovato è stato il finale un po’ troppo sbrigativo, ma è davvero un’inezia.
Credo proprio che “Mr. Zuppa Campbell il pettirosso e la bambina” mi abbia iniziata alla bibliografia di Fannie Flagg.
La semplicità di questa storia mi ha fatto ridere, commuovere ed emozionare come pochi altri libri hanno saputo fare.

"Il giardino segreto"

Il Giardino Segreto -
“Il giardino segreto” non è stato troppo una sorpresa per me, perché ho visto molte volte l’omonimo film che ne è stato tratto. A pensarci bene, forse anche i ricordi che ho del film hanno contribuito a farmelo apprezzare.
Nato come capolavoro della children’s literature,  il romanzo supera questo confine e diventa un bel libro da leggere anche da adulti. In effetti se lo avessi letto quando ero piccola, non sono sicura che avrei colto la vera morale di questa storia.
L’autrice è conosciuta anche per aver scritto un altro astro della letteratura classica per ragazzi, ovvero “Il piccolo Lord”.
Posso confermare che è un ottimo libro per ragazzi, colmo di buoni e sani valori: l’importanza dell’amicizia, la forza di credere in se stessi, la speranza e la rinascita.
Non fraintendetemi, non è un romanzo tutto infiocchettato o cosparso di zucchero a velo, anzi, l’autrice non fa mancare anche il lato amaro della vita e i piccoli protagonisti lo conoscono fin troppo bene.Mary infatti è una bambina sola, nata da genitori che non hanno nessuna considerazione per lei, quindi impara suo malgrado a non affezionarsi a nessuno, diventando scontrosa, antipatica e insopportabile. D'altronde si sa, se non si riceve affetto, difficilmente si impara a darne.
Colin fondamentalmente è come lei, un piccolo dispotico, arrogante e isterico rampollo, che il padre, Lord Craven, cerca di ignorare il più possibile, perché vede in lui la causa della morte della sua amata moglie.
Colin viene tenuto segregato nelle sue stanze, quasi nessuno può vederlo e nessuno ha il permesso di parlare di lui; questo viene fatto nella speranza che mai si venga a conoscenza del piccolo erede malaticcio e debole, senza speranza di arrivare alla maggiore età.
Archibald Craven è un uomo molto infelice e torturato dai suoi demoni, che cerca di sfuggire alla realtà. Quindi, la situazione iniziale non è affatto rosea!
Ma tutto cambia quando Mary arriva a Misselthwaite Manor, la sontuosa dimora nello Yorkshire appartenente allo zio, Lord Craven. Sarà la bambina a ritrovare la chiave di un giardino chiuso da dieci anni e, grazie all’aiuto del fidato amico Dickon, il giardino ricomincerà a vivere, a fiorire e a crescere, proprio come Miss Mary. Da tutto questo ne trarrà beneficio anche Colin: i due si trasformeranno da piccoli viziati e indisponenti, a bambini sani, allegri e pieni di voglia di vivere, come lo è Dickon.
Quest’ultimo è la personificazione del detto “i soldi non fanno la felicità”. Nato in una famiglia umile, dove ci sono quattordici bocche da sfamare, Dickon non sa nulla del lusso, dei bei vestiti, dei libri finemente illustrati, dei ricchi pasti… tutte cose che Miss Mary e Colin hanno a disposizione ogni giorno… ma conosce la brughiera, sa apprezzare i doni della terra, i suoi migliori amici sono gli animali ed è amato dalla sua famiglia. Dickon È senz’altro un personaggio molto positivo, che aiuterà gli altri protagonisti a crescere e cambiare.
Non aspettatevi troppa azione in questo romanzo, perché si tratta di una storia semplice, che ha qualcosa da insegnare. La nota infantile si avverte, ma quel tanto che basta per ricordare che è pur sempre un libro per ragazzi.
Ho trovato abbastanza convincente la descrizione del castello di Lord Craven, cupo come lui, una dimora antica e misteriosa, quasi dimenticata e abbandonata a se stessa.
Sono vivide le personalità dei tre giovani protagonisti, ma altrettanto ben riuscite sono quelle dei personaggi di contorno.
“Il giardino segreto” è un inno alla Natura, la Natura che vive, che cresce e ci avvolge in tutto il suo benefico splendore!
Infatti ho amato le suggestive ed affascinanti descrizioni del giardino che riprende a vivere, della brughiera popolata dall’erica e dagli animali selvatici.
Mentre leggevo mi sembrava quasi di vederle spuntare dalla terra scura le piccole punte verdi dei bulbi, come tanti soldatini, vedevo l’edera che a poco a poco ricopriva i muri di pietra, scorgevo le macchie rosse dei tulipani e mi pareva di sentire il profumo delle rose.
Questo è un libro che ti porta a credere che qualcosa può sempre cambiare in meglio!

“Il curioso caso di Benjamin Button”

Il curioso caso di Benjamin Button - Francis Scott Fitzgerald
Nella Baltimora bene del 1860, in un mattino di settembre Benjamin Button si annuncia al mondo tra l’indignazione del medico e l’incredulità del padre.
Mister Roger Button infatti non troverà nella culla un tenero fagottino dalla pelle di pesca e le gote rosee e carnose, bensì un vecchietto rugoso, con gli occhi fumosi e la barba bianca.
I Button avevano sempre goduto di grande considerazione e rispetto, ma ora la loro perfetta posizione sociale sta per essere minata da questa stramberia della natura.
Come riuscirà Benjamin a cavarsela in un mondo che va al contrario? In un mondo che invecchia ora dopo ora, mentre lui ringiovanisce?
“Il curioso caso di Benjamin Button” offre molti spunti interessanti, però mi è parso che Fitzgerald gli abbia dato poco spessore.
Forte è stata la mia delusione per il finale… ho letto l’ultima riga, pronta per voltare pagina e sapere come continuava e… BAM! Scopro che il racconto era già finito, chiuso in poche parole, senza uno straccio di riflessione sulla vita tanto singolare quanto unica di Benjamin.
«Fitzgerald… ma perché? »
E’ stato geniale, secondo me, ad inventarsi una storia così singolare, dove un bambino nasce vecchio, cresce ma invece di invecchiare, come nell’ordine naturale delle cose, ringiovanisce fino a morire in fasce.
Ho anche apprezzato l’ironia iniziale del racconto, dove è evidente che Fitzgerald ha tutte le buone intenzioni di scimmiottare la casta abbiente di primo Novecento. E poi? Francis mi va a scivolare con un andamento pallido e un finale insignificante.
Poche emozioni, niente picchi di tensione, scarsa consistenza… un’idea originale di partenza, ma che vale poco se poi non viene spremuta e non vengono tirate fuori le sue potenzialità.
Avete presente i canovacci delle opere teatrali? Il canovaccio equivale ad uno schema, ad una stesura approssimativa dell’opera. Ecco… “Il curioso caso di Benjamin Button” mi è parso una sorta di canovaccio, dove vengono abbozzate le linee guida della storia senza approfondirle più di tanto, ma questo sicuramente indebolisce il coinvolgimento del lettore, rivelandola come una lettura poco appassionante.
Che Fitzgerald abbia evitato qualsiasi tipo di commento o considerazione, optando per uno stile più asciutto, per lasciare spazio ai pensieri dei lettori? Potrebbe essere… ciò che mi ha fatto riflettere è stato come l’autore tratta un tema ancora oggi molto attuale: il diverso. Come si cerca di non sporcare la propria immagine, di apparire sempre come la società ci vuole e di salvare comunque le apparenze.
Il finale, anche se non mi è piaciuto affatto, ha però fatto nascere in me un’altra considerazione derivata dal fatto che Benjamin si spegne dimenticando tutto, senza ricordare nulla della sua vita. Questo l’ho trovato di una tristezza immensa.
Io credo che una persona che sia ricca o sia povera, buona o cattiva, bella o brutta, ordinaria o diversa… alla fine della sua vita, in quel preciso momento, quella persona è perfettamente uguale a tutti gli altri, una sola cosa la differenzia: i suoi ricordi. Il ricordo di una vita vissuta e dei sentimenti provati sono la vera ricchezza, il patrimonio che una persona si porta via con sé… e andarsene senza ricordare di aver vissuto penso che sia una delle cose peggiori di questo mondo.
Secondo me l’autore avrebbe dovuto lavorare molto di più su questo, indagare maggiormente sulla psicologia del protagonista, approfondire anche il rapporto di Benjamin con la moglie, un rapporto inevitabilmente complicato e, ad un certo punto, compromesso a causa della crescita/decrescita del personaggio.
A mio modesto parere, se Fitzgerald avesse insistito di più sui vari aspetti di questo racconto, “Il curioso caso di Benjamin Button” sarebbe diventato un libro indimenticabile, invece di essere ricordato solo grazie alla trasposizione cinematografica liberamente tratta dal racconto e diretta da David Fincher.
Credo, in tutta sincerità, che Francis Scott Fitzgerald abbia stretto fra le mani un diamante allo stato grezzo senza rendersene conto.
Leggetelo se volete togliervi lo sfizio, io sono comunque contenta di averlo fatto; d'altronde è un racconto di poche pagine che porta via un pomeriggio e una serata al massimo… ma non è una storia che fa innamorare.
 

"Leggere è magia!"

Il mistero dei libri perduti - Miriam Mastrovito

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Tea Reali coltiva il sogno di diventare scrittrice e proprio per inseguire questo sogno, un giorno si reca in quella che lei crede essere la sede di una casa editrice. Viene accolta da un uomo davvero inquietante dai modi ambigui: Wizard.

Tea non poteva immaginare che entrando in quell'edificio fatiscente sarebbe stata catapultata in un mondo che non avrebbe mai creduto possibile: Buchenland!

Il suo primo approccio avviene con Adelindo e Marvin, due troll un po’ goffi ma di animo buono e generoso.

Dopo un'iniziale giustificato sgomento, Tea comprende che i troll sono un popolo pacifico ed innocuo, ma una tremenda maledizione incombe nel fantastico regno di Buchenland: da trecento anni Morten il Nefasto, un terribile demone, ha imposto il suo dominio detronizzando la regina Wakandha e condannando il regno a vivere quasi senza magia e nella totale ignoranza.

Secondo un'antica  leggenda esiste una possibilità di salvezza per gli abitanti di Buchenland: solo un'umana giunta per caso potrà liberare la regina dal suo sonno e riportare così la libertà e la felicità!

Tea scopre così di essere la prescelta, l'unica a poter risollevare le sorti del regno. 

In questa impresa verrà affiancata dal troll Adelindo, con il quale nascerà una sincera e fraterna amicizia e la loro missione sarà continuamente minacciata dal ripugnante stregone Wizard, crudele emissario di Morten.

Ma Tea e Adelindo non dovranno affrontare tutto da soli, perché troveranno lungo la strada dei grandi compagni d'avventura: il popolo degli gnomi, il centauro Igor con il suo amico lepronte Martin, la squinternata maga Soraya, e molte altre creature magiche!

 

Finalmente posso dire di aver letto un romanzo Fantasy vecchio stile! 

Questo libro è una bellissima favola, di quelle che si possono leggere anche ai bambini prima di dormire, ma adattissima agli adulti che amano perdersi in mondi fantastici. Una fiaba dove possiamo trovare tutti gli ingredienti necessari: avventura, coraggio, amicizia, magia e amore...davvero, non manca nulla!

Quando ho finito di leggere questo libro e l'ho chiuso, ho provato un forte senso di nostalgia per i suoi buffi personaggi, che mi hanno tenuto compagnia in questi giorni. 

Non mi capita spesso di affezionarmi così tanto ad una storia!

"Il mistero dei libri perduti" si è sicuramente guadagnato un posto nella mia libreria vicino a "Stardust" di Neil Gaiman, e "La storia infinita" di Michael Ende.

E' un libro scritto benissimo, le parole scivolano via come un ruscello in mezzo al bosco!

Miriam Mastrovito è riuscita a trasportarmi veramente nel magico mondo di Buchenland...mi ha fatto incontrare personaggi simpatici e divertenti; ognuno con una particolare personalità che me li ha fatti percepire come reali, come se fossero stati accanto a me per tutto il tempo...o meglio, come se io fossi stata lì con loro!

Credo che questa sia la vera magia contenuta in un libro!

In alcune parti mi ha fatto ridere, grazie agli strafalcioni di Adelindo, e l'amicizia tra Tea e il troll mi ha fatto commuovere.

Un libro che consiglio di cuore a chi, come me, piace farsi trasportare in mondi magici e fantastici, pieni di avventura!

 

“Insieme eravamo al sicuro. Diversi, ma al sicuro dal mondo esterno.”

Proibito (Perfect Paperback) - Tabitha Suzuma, Lorenzo Borgotallo
Parlarvi di “Proibito” non è cosa facile. È una storia difficile da giudicare, perché il vissuto di Maya e Lochan ha il potere di rendere un po’ fragili i preconcetti che la società ci impone. Ma ancora prima della morale, è la legge della natura che questi ragazzi infrangono: un fratello e una sorella possono amarsi?
Fa ribrezzo il solo pensiero vero? Il rapporto incestuoso è qualcosa di inammissibile, che va contro la legge dell’uomo (punibile con la carcerazione), la legge della chiesa e che sovverte i principi naturali con cui l’essere umano è stato creato.
Eppure l’autrice è riuscita a raccontarci questa storia con tanto sentimento, con tanta delicatezza, con tanta tenerezza e sensibilità che in fondo in fondo diventa spontaneo domandarsi: ma se non fanno del male a nessuno, è davvero così sbagliato?
I ragazzi di questa storia non sono semplici adolescenti come tutti gli altri: con una madre alcolizzata e quasi trasparente e un padre latitante, Maya e Lochan (il fratello maggiore) non possono permettersi di vivere la loro vergine età e i loro giovani crucci esistenziali, perché hanno problemi ben più grandi da affrontare, cose da adulti, come pagare le bollette, occuparsi dei tre fratelli minori, sfamarli, vestirli, occuparsi della loro istruzione e della loro educazione, dedicare loro del tempo per lo svago, evitare in tutti i modi i servizi sociali… per loro la regola più importante di tutte è “non dare nell’occhio”. Lochan e Maya devono mandare avanti insieme la famiglia, proprio come farebbero due genitori.
Capite bene che il modo in cui sono costretti a vivere non facilita di certo le relazioni sociali con i loro coetanei. In altre parole, Maya e Lochan non hanno avuto altra scelta che crescere molto in fretta e imparare a comportarsi come una mamma e un papà, invece che come un fratello e una sorella. Questo non per giustificare, ma per far capire quale pregresso può averli portati a considerarsi e a volersi più che come fratelli.Maya e Lochan sono l’uno la forza dell’altra, le due colonne portanti che reggono tutto il peso del loro mondo. Forse anime destinate ad amarsi, ma fatalmente intrappolate in due corpi uniti da un’inviolabile legame di sangue.
Ma è davvero giusto giudicare un sentimento che, a conti fatti, è un sentimento d’amore che non crea danni a nessuno?
Un amore sfumato dalle tinte cupe di un incubo, un’attrazione alla quale cercheranno di resistere, che vorranno allontanare con tutte le loro forze fisiche e mentali, ma invano.Un cuore di filo spinato…. non poteva essere scelta immagine migliore per rappresentare questa storia fatta di amore e dolore, di fugaci attimi di gioia, briciole di tenerezza rubate agli sguardi altrui. Lochan e Maya lotteranno a lungo contro questo loro sentimento ancora acerbo, un sentimento che gratta sotto la superficie, che invia segnali quasi impercettibili. Una complicità naturale per due fratelli che, come loro, devono unire le forze e tenere insieme i pezzi di una famiglia allo sbando… ma una complicità che un giorno dopo l’altro inizia a degenerare.
Maya cerca di godersi per pochi attimi i suoi sedici anni uscendo con un ragazzo, una cosa normale per tutte le ragazze no? Una cena fuori, cinema, qualche bacio in macchina prima di tornare a casa…. ma non per lei che, per quanto si sforzi, capisce che nessun ragazzo le interessa veramente.
Lochan fra i due appare quello più fragile, riesce ad essere se stesso solo nel loro micro mondo fatto di casa, compiti, fratellini da accudire, cene da preparare, ma fuori dalle mura di casa non riesce a dire una parola. Gli attacchi di panico gli impediscono di relazionarsi, amici e compagni di scuola non esistono, i suoi risultati a scuola sono ottimi, ma solo se si trattano di compiti scritti.
Sarà Lochan a tentare di rifiutare con più fermezza possibile il sentimento che sente crescere per sua sorella… lui non lo accetta ma allo stesso tempo è qualcosa che non può fare a meno di provare, qualcosa di cui ha un bisogno disperato, un desiderio che fa male in ogni parte del suo essere e che strugge le sue barriere mentali giorno dopo giorno. È un amore che sguazza nel tormento.
Maya, forse grazie a qualche brandello rimasto dell’ingenuità dei suoi sedici anni, è più propensa a riconoscere il loro legame proibito… la parola “incesto” la spaventa, ma crede in un futuro per loro, quando i fratelli saranno più grandi e indipendenti, sogna di poter fuggire lontano con Lochan, dove nessuno li conosce e dove possano amarsi senza paura e senza angoscia.
Si tratta di una storia spietata, intensa, molto emotiva, che non va giudicata ma capita.
Non le artificiose pene d’amore alla “Romeo e Giulietta”, ma il disperato bisogno dell’amore dell’altro, un sentimento tenero, straziante e ingiusto… che alla fine lancia un grido di rabbia e di dolore.
La parola incesto deriva dal latino incestum, che letteralmente significa “impuro”, “contaminato”… sapete, a me la storia di Lochan e Maya è sembrata tutto tranne che impura, davvero. Mi ha commossa la dolcezza del loro sentimento, la loro paura, la fragilità di due ragazzini lasciati soli al proprio destino e che cercano disperatamente un briciolo di speranza e di affetto.
Sarò profana, ma sinceramente Lochan e Maya non mi hanno disgustata... ho provato per loro solo dispiacere, tenerezza e tristezza. Io non credo che loro siano dei veri "peccatori", ma piuttosto vittime destinate ad un amore che non perdona e che non viene perdonato.
Sicuramente il merito di tutto ciò va al modo in cui l’autrice ha saputo descrivere i fatti e i sentimenti dei protagonisti, usando una misura delicata e mai sproporzionata.
Tabitha Suzuma è stata molto brava a scrivere questa storia con realismo e con grande tatto, raccontando un tema difficile e spinoso che avrebbe potuto trasformarsi in una bomba ad orologeria, diventando invece un romanzo che colpisce profondamente, che lascia l’intimo bisogno di rifletterci sopra, di riprendersi, di accettare.
La verità? Giusto o sbagliato che sia… questo libro emoziona in tutte le sue sfumature.